STORIA DI UN ARTISTA

Carmelo Puzzòlo nasce il 25 febbraio 1934 a San Piero in Bagno, ora provincia di Forlì-Cesena, un tempo territorio di Toscana e quindi provincia di Firenze. Suo padre era Siciliano, e dalla sicilianità ha ereditato la classicità delle forme e del paesaggio; dalla madre invece toscoromagnola il senso religioso del comportamento umano e il significato provvidenziale della vira. Dall'uno e dell'altra imparerà subito a riconoscoere il valore delle cose, fossero creature della natura o prodotti della mano dell'uomo. Del loro valore se ne approprierà presto in qualche modo poichè si divertiva a disegnarne il profilo e la forma per ammirarne la bellezza e farla ammirare. Attirò l'attenzione di molti e di alcuni studiosi che avevano familiarità coi pittori fiorentini. Un suo disegno fu fatto osservare a Primo Conti che in quegli anni del primo dopoguerra era uno degli esponenti più significativi della cultura fiorentina e del risveglio anche estetico, in specie della pittura, che il particolare momento politico di rinascita democratica nell'Italia e nel mondo intero imponeva. Primo Conti ne fu impressionato. Questa primitiva valutazione sarà in seguito un motivo particolare che faciliterà il definitivo appriccio di Puzzòlo col mondo dell'Arte, a Firenze.


Nel racconto che segue è lo stesso Puzzòlo a descrivere quell'incredibile concatenarsi di coincidenze che gli cambiarono per sempre la vita.



Da imbianchino di S. Piero, a studente all'Accademia di Belle Arti di Firenze

 

Nell'autunno del 1950 si giocava a Firenze una partita di calcio molto importante, trattandosi di un incontro internazionale: Italia-Austria. Dopo la tragedia di Superga, dove era precipitato l'aereo che trasportava la squadra del grande Torino (non ci furono supestiti), i cui componenti per nove undicesimi, facevano parte della nazionale italiana, si era costituita una nuova squadra che per la prima volta si sarebbe cimentata contro l' Austria. Un' occasione che avrebbe attirato tutti gli sportivi amanti del calcio.

Fu così che anche a S. Piero si organizzò un pullman per assistere a quell'incontro. Tra i partecipanti vi era anche mio fratello Ennio. Io, che da anni desideravo visitare codesta importante città d'Arte, mi aggregai alla compagnia. L'occasione fu favorita dal fatto che una famiglia di Firenze, amici dei miei genitori, mi avrebbero ospitato per una settimana.

Quella Domenica non vidi  la partita ma, con album da disegno e matita, me ne andai in giro per Firenze a disegnare ciò che più mi attraeva. In particolare, seduto sotto la “Loggia dei Lanzi”, in piazza della Signoria, copiavo le statue che vi erano esposte. Non so con quale coraggio; con tutti i curiosi che mi stavano attorno. Su consiglio degli amici, dei quali ero ospite, visitavo gallerie d'arte, chiese e luoghi famosi della città. Grande impressione provai nelle Cappelle Medicee quando mi trovai difronte alle meravigliose statue di Michelangelo, poste sulle tombe  di Lorenzo e Giuliano De Medici. Nei giorni successivi continuai a disegnare le varie vedute o soggetti artistici che la splendida città mi offriva. L'ultimo giorno, (il mattino dopo la corriera mi avrebbe riportato al mio paese), un sabato sera, con la cartellina piena di disegni camminavo dal fiume Arno verso piazza della Signoria, proprio dietro agli “Uffizi”. All'angolo della strada c'era un cinematografo, "Imperiale" era il suo nome;  attirato dai cartelloni pubblicitari mi avvicinai a curiosare. Lì accanto vi era  una “bancarella” dove si vendevano lupini; ne comprai un cartoccio e mi avviai dietro a Palazzo Vecchio, in via dei Leoni, quando fui attratto da una piccola bottega con la vetrina aperta. All'interno, un uomo appoggiato al banco, stava   incollando dei fogli di carta. Sulle pareti del piccolo locale vi erano alcuni dipinti a “guazzo”, ed altri piccoli quadretti ad olio. Incuriosito mi avvicinai alla vetrina per vedere meglio; l'uomo intento al suo lavoro, non si era accorto della mia presenza e quando alzò lo sguardo e mi vide io feci l'atto di ritirarmi. Lui subito mi invitò ad entrare dicendo: “Venga, venga! La un disturba! La entri pure... Ché le piacciono?” Accennando ai quadretti sulle pareti. “Si,” Risposi timidamente. “E son del Guarnieri! Ché lo conosce?” Ribatté lui, “No”, dissi, e lui aggiunse con fare perentorio: “Gli é allievo dell'Annigoni...che lo conosce l'Annigoni?” “No", risposi, un poco imbarazzato, "non li conosco”. L'uomo rimase un po' deluso e mi chiese di dove fossi. Spiegai che venivo da un piccolo paese delle campagne romagnole. Come scorse la mia piccola cartella da disegno si interessò chiedendomi se fossi pittore pure i,  e domandò se poteva dare un' occhiata. Risposi che mi piaceva disegnare e timidamente gli porsi la mia cartellina. Come vide i primi disegni, iniziò una serie di lodevoli apprezzamenti, poi disse: “Io sono Ugo Fanfani; anch'io mi diletto di pittura, ma più di qualche troiaio un so  fare”. ”Vede quel paesaggino ? L'ho dipinto allo studio dell'Annigoni. Sa cosa ma detto?  “Se devi dipingere certi troiai un venir più al mio studio”. Mi chiese poi: “Ma lei è studente?” “No” Risposi, “Faccio l'imbianchino”. Al che  rimase di nuovo deluso dicendo che con le doti che avevo avrei dovuto studiare. Poi si fermò un momento a riflettere e disse: “Ché lo vol conoscere il Guarnieri? Se l' ha pazienza d' aspettare, lui passa di qui tutte le sere verso quest'ora”. Il Guarnieri, mi spiegò il Fanfani,  lavorava nello studio di Annigoni, proprio in piazza S. Crocie e la sera per tornare a casa, percorreva via dei Leoni fermandosi a far quattro chiacchere nel botteghino del Fanfani.

Proprio mentre parlavamo Guarnieri in persona apparve sulla porta: un giovanotto robusto, non tanto alto, con capelli lunghi un po' scomposti, con  una grande cartella sotto braccio: si capiva che era un artista. Con lui vi era un amico. “Proprio te, Luciano, ti saspettava!” disse il Fanfani da dietro al bancone. “Dà un'occhiata a disegni di 'sto ragazzo” ed indicò i miei fogli ancora sparsi sul tavolo. Guarnieri si avvicinò e con interesse osservò i miei lavori, esprimendo subito assenso e meraviglia; specialmente quando seppe che non ero uno studente, ma un semplice imbianchino.

A quel punto iniziò una lunga discussione, nella quale tutti e tre i signori appena conosciuti, si ingegnarono in cerca di una soluzione per farmi rimanere a Firenze. Bisognava infatti convincere la famiglia che mi ospitava a prolungare il mio soggiorno, per poter trovare il modo che mi permettesse di rimanere in quell'ambiente. Mi dissero di continuare a disegnare e tutte le sere ci saremmo incontrati dal  Fanfani per visionare i nuovi lavori. La discussione si protrasse anche mentre tornavamo a casa, in quanto avevamo la medesima strada da percorrere; il Guarnieri abitava in via Ricasoli, di fronte all' Accademia, io dovevo proseguire oltre, fino a Piazza della Libertà.

Passando davanti ad una gelateria, Guarnieri disse: “festeggiamo quest'incontro!” e tutti e tre ci accomodammo ad un tavolino per goderci una bella coppa di gelato.

Tornando a casa ero felice e speranzoso, ma al contempo timoroso di chiedere una proroga della mia ospitalità. Raccontai ai miei “albergatori” ciò che era accaduto e loro, stupefatti di sentire il nome di Guarnieri e di Annigoni, così rinomati ed ammirati a Firenze, accettarono di buon grado e mi trattenni così per un' altra settimana. Tutto il giorno lo dedicavo al disegno e la sera mi ritrovavo nella botteghina del Fanfani dove puntualmente arrivava il Guarnieri. Una sera il Guarnieri mi volle fare un ritratto a matita; Posai per due sere consecutive. Ne usci un pregevole lavoro. Quel mio ritratto ebbi modo di rivederlo, molti anni dopo, nel Gabinetto dei disegni della Galleria degli Uffizi, in occasione della mostra dei disegni donati da molti artisti fiorentini alla prestigiosa galleria. Intanto i  miei progressi erano evidenti e il Guarnieri trovava giusto che fossi rimasto a Firenze. Inoltre mi assicurò che, tramite un amico, aveva buone speranze di trovarmi un lavoro in una bottega di ceramiche, con il miraggio di un piccolo stipendio. Pensai che era il caso di tornare a casa per esporre ai miei genitori gli avvenimenti di quei giorni. Appresero con entusiasmo le cose che andavo esponendo e condividevano tutti i buoni propositi, anche se qualche dubbio, sul come e sul quando le cose avrebbero preso la giusta piega, aleggiava nell'aria. Occorreva eliminare le difficoltà più evidenti. Prima di tutto, la famiglia Meacci che mi aveva ospitato: per quanto tempo ancora era disposta ad  alloggiarmi? Non potevamo  contare troppo sulla loro cortesia anche perché, essendo il loro un piccolo appartamento la mia presenza creava qualche disagio. Rimasi un paio di giorni a casa e ripartii alla volta di Firenze, non prima però di essermi recato nel negozio di stoffe  della Michelina per salutarla. La signora Michelina era una grande amica di famiglia ed era a conoscenza della situazione. La trovai intenta a discutere con un rappresentante di stoffe, un certo signor Bacchi di Firenze,  al quale  gli fu raccontata la mia storia; egli ascoltò con interesse finché interrompendo il discorso disse:” Mia mamma è infermiera in pensione ma segue sempre privatamente alcuni pazienti; due volte la settimana si reca in casa del professor Conti per fare iniezioni alla sua anziana mamma: Conti è un pittore famoso, insegna all'Accademia di pittura, le dirò che gliene parli... un si sa mai!” Diedi al Signor Bacchi il numero di telefono della famiglia Meacci e ci salutammo. Nella mia mente vi era una speranza in più. La domenica sera arrivò in casa Meacci una telefonata per me. La signora Bacchi, mamma del viaggiatore di stoffe conosciuto a S. Piero, aveva parlato col professor Conti, il quale desiderava conoscermi e mi avrebbe ricevuto il lunedì sera, alle sei del pomeriggio. La signora Bacchi mi avrebbe accompagnato dal momento che in quel giorno e a quell'ora andava per la puntura alla mamma di Conti.  Alle ore 18 di quel lunedì ero in attesa al numero 6 di Via De Vecchietti quando,puntuale, arrivò la signora Bacchi; mi presentai ed insieme salimmo le scale fino all'ultimo piano..Era un bel palazzo situato nel centro storico fiorentino non lontano dal Battistero. Ci aprì la porta un cameriere nella tipica divisa come si vedono nei film che trattano cose di gente ricca. Ci accomodammo in un bel, grande salotto, con mobili e divani in stile. Sulle pareti erano appesi bellissimi dipinti dello stesso Conti, ma la mia sorpresa fu grande nel vedere, sui tavoli, e sparsi in ogni dove, tanti libri d'arte con  riproduzioni dei suoi lavori. Non potevo credere che un artista ancora vivente fosse così famoso, anche se grande, per avere già tante belle pubblicazioni e a colori. Ebbi appena il tempo di pensare queste cose che Conti si presentò con la moglie Munda e le due figlie. Un uomo non tanto alto con capelli neri e volto molto marcato ,direi rustico, ben caratterizzato; voce forte e nei miei confronti molto complimentoso, sopratutto per la mia giovane età. Volle subito vedere i disegni che avevo in cartella ed anche i suoi giudizi coincidevano con quelli del Guarnieri e, mano a mano che girava i fogli diceva:” Bono,bono, questo mi piace, bono,bono” Poi rivolgendosi alla vecchia madre che nel frattempo era entrata, le diceva:     “ Guarda mamma, questi disegni ricordano i miei” e a quanto potevo intuire era stato ben informato sulla mia situazione perché diceva che, con le doti che mi ritrovavo non dovevo restare in campagna a fare l'imbianchino.

“No no, tu devi studiare; i tuoi sono talenti che non vanno perduti, devi studiare.” E mentre il cameriere portava tè e biscotti guardava e riguardava i disegni, continuando a dire “ No, no questo ragazzo deve studiare”. Poi come fulmine a ciel sereno, buttò lì la proposta” Ti prendo io nella mia scuola, ti prendo come uditore; ci vieni volentieri nella mia scuola all'Accademia?”. Io non sapevo cosa rispondere tanto fu la sorpresa. Tutto quello che si disse dopo, e restammo ospiti per un paio di ore, non fece che aumentare il turbinio di sensazioni che mi frullavano in testa. La cosa che  si stampò sicura nella mente era che, alle nove del mattino successivo, mi dovevo trovare all'entrata

del'Accademia di belle Arti; lui sarebbe arrivato e mi avrebbe accompagnato nella sua scuola. Non avevo idea di come era fatta la scuola all'Accademia. In ogni modo alle nove e forse mezz'ora prima ero in attesa del professor Conti. Per precauzione avevo comprato album da disegno, compasso e squadre. Conti arrivò, mi salutò con un certo entusiasmo;salimmo le scale e dopo aver percorso un lungo corridoio arrivammo ad una porta grigia. Senza bussare entrò sicuro dicendo:” Buon giorno a tutti”.  La risposta della classe arrivò alle mie orecchie un po' strana: erano voci diverse, di uomini e donne ma che denunciavano la presenza di persone adulte ed anche anziane. “Vieni ,vieni”, mi disse Conti, vedendo che timido ero rimasto nel corridoio e rivolto alla scolaresca aggiunse: “ Vi presento un nuovo allievo che da oggi frequenterà la scuola ,é molto giovane, trattatelo bene.”

L'ultima volta che avevo frequentato una scuola, almeno cinque anni prima: due mesi alle serali per la licenza di quinta elementare (a causa della occupazione tedesca le scuole normali erano state chiuse), i ragazzi stavano seduti nei banchi ed il maestro  in cattedra con accanto la lavagna. Cosa vidi: una trentina di persone adulte, uomini e donne con cavalletti e tele sulle quali erano dipinte donne nude. La sorpresa non era finita: avanzando in mezzo alla selva di cavalletti e tele potei vedere, al centro del salone, una bella ragazza in piedi, sopra un pancone, completamente nuda. Non vi dico quale fu il mio stato d'animo. Il professor Conti mi presentò al suo assistente dicendo:” Professor Trovarelli questo è il nuovo allievo, un bravo ragazzo, con doti non comuni, se lo prenda in cura.”

Così ebbe inizio la mia nuova vita di studente d'arte ed il professor Trovarelli veramente si prese cura di me, tanto e vero che dopo sessantaquattro anni ancora ascolto i suoi insegnamenti essendo lui ancora vivo alla bella età di anni 99 e dieci mesi.

Il professor Goffredo Trovarelli morirà alla fine di Dicembre del 2012

Era nato a Pesaro il 6 Gennaio del 1913. Suo fratello Sanzio era morto alcuni anni prima all'età di 95 anni. Tutto quello che ho imparato della difficile arte della pittura lo devo a codesti due grandi e onesti artisti. Uomini di grande rettitudine. Verità condivisa anche dal grande Annigoni che, una volta conosciuto, mi volle come aiuto quando doveva dipingere affreschi a Ponte Buggianese, a Monte Senario, a Firenze e a Padova. Con lui rimasi 9 anni, fino alla sua morte.

Per concludere devo aggiungere che, anche se studente, durante le vacanze estive continuai a lavorare come imbianchino o decoratore alle dipendenze di Ruggeri. Molte furono le chiese che in quegli anni dovemmo decorare.         

Carmelo Puzzolo giovanissimo in una foto con Giuseppe Battistini, detto Beri

Con le sue opere, Carmelo Puzzolo è l’artista più presente nell’ambito della parrocchia di Medjugorje.

Le sue opere si trovano nei principali luoghi di preghiera: il rilievo bronzeo “La nascita di Gesù” tra la chiesa e l’ufficio parrocchiale, la statua di San Leopoldo Bogdan Mandic accanto ai confessionali esterni, le stazioni della Via Crucis sul Krizevac, i misteri del Rosario sulla Collina delle apparizioni, la statua di fra Slavko Barbarie nel “Villaggio della Madre”. Non ultima l’immagine della Regina della pace nel Salone “Beato Giovanni Paolo II”,

Dice Carmelo Puzzolo: ” Ho sentito parlare per la prima volta di Medjugorje dalla televisione italiana. Era solo una breve notizia. Non ero concentrato su quello che veniva dato in televisione, non stavo seguendo quel programma. Ho visto soltanto i veggenti in estasi con la coda dell’occhio.


Nel 1985 ero a Padova, nella chiesa di Sant’Antonio, con il grande artista italiano Pietro Manigoni e stavo ascoltando una conversazione su Medjugorje di miei amici industriali. Essi mi dicevano: “Carmelo, vai a Medjugorje, là c'è qualcosa di molto interessante“. Non appena libero da impegni, nel luglio del 1985, mi sono recato a Medjugorje. Una volta arrivato, sono rimasto molto impressionato dal modo in cui le persone pregavano là. In quei giorni, le apparizioni erano nella stanza di fronte all’ufficio parrocchiale. Tra i francescani che vedevo intorno all’ufficio parrocchiale ed attorno alla chiesa, ne notai uno molto vivace: era fra Slavko Barbaric.

Fu il primo incontro, ne seguirono altri, nei quali mi convinse ad accettare di fare i bronzi della via Crucis.

Ma questa è un’altra storia!


Per il quadro della Madonna, fra Slavko mi chiamò nel 1989 e mi disse che i frati volevano che dipingessi la Madonna così come la vedono i veggenti e continuò spiegandomi che le persone vedevano la Madonna di Medjugorje in quella che era, in realtà, la statua di Tihaljina. Gli dissi che non era così facile ritrarre la Madonna di Medjugorje, dopo di che mi mandò un fax con le risposte dei veggenti in cui essi descrivevano la Madonna.

Il foglio con le domande ai veggenti e le loro risposte era lungo un metro e mezzo. Si trattava di dieci domande su quale fosse davvero l’aspetto della Madonna, a cui i veggenti avevano risposto. Tutte quelle risposte non erano sufficienti per me perché, ad esempio, la risposta “bellissima“, cosa può significare per un pittore? Ho preparato una grande tela ed ho lavorato a quell’opera con tutto il cuore, cercando di immaginare la bellezza che i veggenti descrivevano.


A volte dovevo lavorare per giorni e giorni solo per disegnare un piccolo dettaglio. Allora scrissi una lettera a fra Slavko dicendogli che mi aveva chiesto di dipingere quell’immagine, ma, in realtà, voleva che io mi convertissi, perché solo dei mistici possono dipingere la Madonna, ed io non lo sono. Mentre lavoravo all’immagine, sentii dire che la veggente Mirjana era venuta a trovare un amico in Italia.

Pregai quel signore di chiederle se potevo andarci con quello che stavo facendo, perché lei lo vedesse. Mirjana disse: “Meraviglioso!“ Mi disse anche che la Madonna aveva un sorriso triste, come quello che avevo disegnato, quando ci invita a pregare per coloro che non hanno conosciuto l’amore di Dio.


E’ molto difficile rappresentare un sorriso: il sorriso non è una smorfia delle labbra, ma è qualcosa che fuoriesce dall’intero essere. Quello è un sorriso che proviene dal grande amore della Madonna, ma è anche un po’ triste perché vede che gli uomini non si convertono quanto dovrebbero. Come è possibile trasferire questo su tela? Si può provare, ma non si potrà mai riuscirvi appieno.

Quando la terminai, la vide anche Vicka ed anche lei fu soddisfatta. Quando qualcuno fece un’osservazione sulla nuvoletta su cui si erge la Madonna, Vicka disse che vedeva la Madonna proprio così. In fondo all’immagine ho dipinto anche la chiesa di Medjugorje.


Fonte: estratto dall’articolo apparso su “La voce della Pace”